giovedì 11 febbraio 2010

E infine.....

Infine a tutti auguro di poter essere persone che si arrichiscono e condividano insieme all' altro..perchè è nello stare insieme che si impara e ci si accetta, soprattutto si conosce ci si confronta e si diventa un pò più "umani", un pò più adulti di quanto crediamo d' essere ora!
Grazie alla mia esperienza con il Servizio Civile Nazionale e ora all' università sto continuando a percorrerre il mio cammino, il mio progetto di vita rivolto all' altro che è sorriso, bontà, protezione, aiuto e mai discriminazione..dal bambino all' anziano.
E poi...andate a conoscere il SERVIZIO CIVILE NAZIONALE...pensateci sù
un anno della vostra vita sicuramente guadagnato!!
Far del bene non fa mai male no??!

sabato 6 febbraio 2010

Abile NON Disabile

Noi futuri Educatori, lavoriamo con realtà molto disagiate dove l'abbandono, la tristezza, la rabbia, la repressione, l' illusione, il senso di colpa si respirano all' interno delle strutture, sono sensazioni che l' utente avverte e che avverti tu stesso nei loro occhi, nei loro movimenti, nelle loro posizioni, nei loro: "non ho voglia"..
Il nostro corso ci dà la possibilità di "spaziare" in campi dove purtroppo questi malesseri persistono e la nostra "MISSIONE" è la CURA . (Personalmente non lo definisco un lavoro come può e dovrà essere... trovarsi un bimbo di appena qualche mese da accudire come può essere un lavoro... è una fortuna che quel bimbo sia tra le braccia di una persona, protetto da qualsiasi pericolo e purtroppo sembra impossibile anche senza rendersene conto, il "pericolo" è proprio la madre che lo ha dato alla luce, quella che dovrebbe essere in primis la sicurezza, l'amore,la protezione).
Noi educatori, con le nostre competenze dobbiamo essere guida, tirar fuori, aiutare la persona a riformulare il proprio progetto di vita, elevare la persona umana, fare in modo che non solo con il nostro aiuto ma con le sue forze pian piano "rinasca" e riviva ....e che la società del giorno d'oggi faccia ricchezza di queste persone e non "discriminazione", indifferenza: DISABILI, ALCOLISTI, TOSSICODIPENDENTI, CASE FAMIGLIA, CASE di CURA, MALATI CRONICI, DISTURBI del COMPORTAMENTO ALIMENTARE, MALATI PSICHIATRICI. Mi soffermo sui malati psichiatrici perchè posso dire grazie ad un corso frequentato all' università: Pedagogia speciale.. sono usciti i temi salienti di Disabilità: disagio, differenza, privazione, mancanza di autonomia. Al termine del corso ognuno personalmente, ha elaborato una recensione su un film e libro a scelta che trattasse tali temi e problematiche...
Ho scelto di parlare di malati psichiatrici e per questo di Alda Merini famosa e bravissima scrittrice. Ecco la mia recensione:
LETTERE AL DOTTOR G
Aver affrontato il corso di Pedagogia Speciale, oltre ad essermi piaciuto davvero molto, ad essere stato veramente interessante è stato molto importante personalmente come futura educatrice.
Ho scelto “Lettere al dottor G” perché parlare di MALATI PSICHIATRICI ora come ora dopo aver letto il libro mi ha impressionata molto; sia come l’autrice nonché vera protagonista ha strutturato lo scritto, sia per dar luce a questo male oscuro e così indecifrabile.
Mi piace molto questo libro, mi piace pensare che nel suo buio abbia ritrovato la luce; la luce che l’ ha fatta ritornare in superficie, mi piace che lo abbia fatto con la poesia la sua arte, mi piace ancor di più a chi l’ha indirizzata…un ringraziamento per aversi presa cura di lei: il suo dottor G.
Questo libro nasce dal ritrovamento, dopo più di trent’anni, di una serie di fogli scritti da Alda Merini nel lungo periodo di internamento in ospedale psichiatrico, a cavallo fra gli anni ‘60 e ‘70.
Si tratta di lettere, poesie, pagine di diario indirizzate in gran parte al dottor G, ovvero Enzo Gabrici, il neuropsichiatra che l’aveva presa in cura.
L’esperienza del manicomio è stata centrale non solo nell’esistenza, ma anche per l’opera della Merini la quale dopo essere stata restituita alla famiglia avvia una riflessione sulla vita. Riesce a rinascere dalla sofferenza angosciosa: gli incubi prodotti dalle pesanti terapie, la nostalgia delle figlie, proprio grazie a queste pagine scritte di getto e alla fiducia nell’uomo “dolce e romantico” (come dice lei) vestito del camice bianco che le ha restituito il dono della poesia.
Il libro nella sua completezza è fatto molto bene, molte frasi e parole mi hanno colpita e fatto riflettere, aggiungerei anche impressionata. Le conseguenze che in questo stato rende una persona: cadere nello stato di coscienza, stato di delirio, il non sapersi reggere in piedi, l’elettrochoc che annebbia la mente, vede le persone camminare con la sola testa, il resto del corpo è una parte a sé, l’interrotto pianto, il gridare…..approposito cito dal libro: “per gridare occorre aver visto nel passato, qualcosa che ci ha talmente sconvolti da rendere muta una parte di noi stessi..” . A causa dei farmaci che prende vede il corpo insensibile e incapace alla vita, e di seguito “gli ammalati sono strani si muovono dentro ad ogni affetto come dei pesci bambini disegnati da mani bambine, sono imprevedibili e osceni…” Il termine osceno mi ha fatto un po’ rabbrividire …la Merini dà un senso profondo alle parole, ai suoi scritti, come in preda alla più totale rassegnazione alla malattia e definirsi mutati a causa d’essa.
Al mondo nessuno si occupa di me ”(è proprio quello che noi educatori dobbiamo fare: prendersi cura dell'altro) questa frase la ritengo la chiave di tutto il libro è la frase che ha fatto “la storia della pedagogia“, proprio in quegli anni con la Legge Basaglia del 1978 si buttano le chiavi dei manicomi, la Merini scrive nella sua lettera in data 4/03/1979: "ho saputo in questi giorni che i manicomi sono stati aperti, dovrei dire grazie alle persone che hanno preso questo provvedimento…” Per la Merini ha secondo me un significato ulteriore, non solo per lei ,ma per le persone in difficoltà: il restare soli è una paura ricorrente, ghetizzato, non considerato, la stessa Merini scrive: “scrivo per dialogare con qualcuno, Dio mi ha lasciato questo dono prevedendo che sarei stata tanto sola nella vita così posso conversare con gli altri” il dono che Dio le ha dato è la poesia e il rivolgersi al dottor G: “parlando con te forse mi rivolgo a qualcun’ altro, al padre, a tutta quella serie di uomini che ho amato nella mia vita e che adesso è importante trovare nella mia mente e nel mio cuore….so che mi vedi fremere di rabbia se tu potessi come chirurgo strapparmi il cuore e strapparmi il tormento, credo che tu mi abbia sollevato dalla follia con intelligenza e anche perché assomigli in modo straordinario a mio padre (l’importanza della famiglia nella costruzione della propria identità….i figli hanno bisogno di umanità, si orientano nella vita perché la incontrano nei volti dei genitori che sono la via della concretezza e dell’ esperienza.)" Di figli parla Alda essendo madre e parla di gravidanza: “sentirsi palpitare dentro un altro cuore, sentirselo dei mesi, donarsi ed essere gratificate da questo amore.”
Questa fede che traspare in tutto il libro la fa aver sete di amore, gentilezza e della sua libertà, afferma che: “quando una cosa non la si prende con fiducia non ha nessun risultato, solo la fede è la molla di tutte le guarigioni” la fede per lei è sentirsi amata, l' amore di un uomo che si prenda cura di lei, problematiche che ha con il marito a causa di maltrattamenti e frustrazioni che ha subito ma, nonostante tutto lei ribadisce che solo lui potrà guarirla, c’è una sorta di ricerca maschile in tutto il libro: la figura del padre, del marito e del dottor G.
Penso che da questo libro ci sia da prendere spunto, nonostante la malattia e le difficoltà, Alda è riuscita a vivere e non a sopravvive al suo handicap e che si può affrontarlo e uscirne vincenti.

“Per
Alda la sua espressione più vera è la poesia, l’Arte che il suo oscuro Spirito le aveva dato in dono con il suo divino messaggio.”
dalla prefazione di Enzo Gabrici, il dottor G.

Per la recensione del film ho scelto di trattare il tema della disabilità...la disabilità di un ragazzo:
“ LE CHIAVI DI CASA”

Le chiavi di casa è uscito nelle sale italiane il 10 settembre 2004, il regista è Gianni Amelio i protagonisti sono: Kim Rossi Stuart (papà Gianni), Andrea Rossi (figlio Paolo),Charlotte Rampling (Nicole).
Notte, stazione di Monaco di Baviera. Gianni incontra per la prima volta suo figlio Paolo, ragazzo quindicenne che non ha mai voluto vedere e che sta dormendo su un treno diretto a Berlino per accompagnarlo in ospedale per la riabilitazione..
Gianni ha una nuova moglie e un figlio. Ora non sa come comportarsi. Paolo gli spiega in che modo aiutarlo. E’ un RAGAZZO DISABILE, manifesta comportamenti controversi, quand’è in clinica rifiuta la presenza di Gianni, altre volte lo cerca si scherza e si gioca insieme. Una corrente gli lega malgrado tutto e scappa un “Ti voglio bene“. Arrivano bellissimi momenti di intimità. Mentre Paolo si sottopone alle sue cure, Gianni si scontra con la propria ignoranza su tutto ciò che riguarda il ragazzo. Capisce però che non vuole più vederlo torturato da una disciplina che cura solo il suo fisico. Storia di una felicità inaspettata e fragile: conoscersi e scoprirsi lontani da casa, rivelando tra i due che il più forte è Paolo e quello che il mondo addita come il più debole.
“Perché magari vede il padre e succede il miracolo, per tanti casi funziona.”dice zio Alberto (Pierfrancesco Favino) chi fin da ora si è preso cura di Paolo.
Le chiavi di casa rappresentano emblematicamente il momento di passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza. Quel momento in cui i genitori consegnando le chiavi ai propri figli ritengono che questi abbiano raggiunto un grado di autonomia e maturità sufficiente, è a mio avviso un' illustrazione di questo passaggio, trasfondendolo su un ragazzo handicappato che aspira ad un grado minimo di autonomia dagli altri, nella vita di tutti i giorni. Gianni che di fronte al proprio figlio prova dubbio, paura, non sa come comportarsi, quasi si vergogna quando Paolo alza il volume della tv, paura di disturbare..è impacciato e denota i suoi comportamenti Nicole la madre di una bimba che incontra in ospedale a Berlino:“come se dovesse fare qualcosa per farsi perdonare“ afferma. Questa comprensione del bene immenso che una madre può provare verso una figlia che a malapena emette qualche suono:"il lavoro sporco che tocca alle madri i papà non ce la fanno con una scusa o con un'altra si tirano indietro": ci permette di calarci nella psicologia di un ragazzo che pur camminando con un bastone ama lo sport, tifa per la Lazio, deve andare a giocare a calcetto, deve tornare a casa perché deve "spicciare le faccende" nell'integrarsi e sentirsi parte anche lui del mondo “normale” ci dice tutto questo con un simpatico accento romanesco.
Il film mi è piaciuto davvero molto mi ha anche commosso, la parte di Paolo è stata quella che mi ha impressionato di più, dopo tanto tempo vede il padre, è lui che insieme al suo “buio” manifesta il bisogno di avere una famiglia accanto a se, di sentirsi coccolato, di sapere che il sangue che scorre nelle sue vene è lo stesso dell' uomo che da tre giorni gli sta vicino.
Come detto precedentemente ho apprezzato il film però sono rimasta un pò sorpresa dal finale
incompiuto, non me lo sarei mai aspettato infine, quali saranno i loro destini?
Consiglierei il film a chiunque soprattutto ai genitori, resta pur sempre un film, un film che però
trasfigura la realtà in modo eccezionale.
Nicole dice una frase molto forte a mio parere:
“La sua malattia lo proteggerà dagli altri, si prepari lei ha soffrire,
SE VUOLE STARGLI ACCANTO.”


Penso non ci sia da aggiungere altro..sono felice di diventare Educatrice e mi sto impegnando per questo, perchè, credo in tutte queste forme di Disabilità che per me non sono altro che Abilità, forse la disabilità è solo nelle nostre concezioni e stupide convinzioni.

giovedì 4 febbraio 2010

S.O.S Educare....


Ciao a tutti, sono ritornata!!!
Dopo un annetto sono di nuovo qui, ho lasciato a riposo il mio blog: e i "lontani" ma pur sempre vicini momenti passati a Villa Savardo. Mi sono immersa nel mondo universitario nel vivere pienamente quest' esperienza a 360° e.... ragazzi sono già al secondo anno di università!!!!
Facoltà di scienze della formazione, corso in EDUCAZIONE PROFESSIONALE NEI SERVIZI SANITARI .
Che bello..mi piace davvero molto questo momento e ora capisco quanto sia fondamentale una preparazione teorica per la nostra futura occupazione, quanto si possa imparare e quanto non si finisca mai di imparare ma devo dir la verità la "pratica" è tutt'altra cosa.. Grazie alla mia esperienza in comunità, grazie al mio anno di SCN capisco cosa significhi essere sul campo e vivere sulla propria pelle certe situazioni, finchè non ti trovi faccia a faccia è difficile da capire. Mi reputo per questo fortunata perchè posso dire che ho avuto (per quanto piccolo) un riscontro "pratico" della situazione. Devo dire che anche per la mia esperienza,più il tempo passa e più ti rendi conto che EDUCARE è una cosa molto difficile...questa parola ha molte sfaccettature, la trovi citata in molti libri, ha molti significati..molte conseguenze....provate a pensare ......EDUCARE.......
Cosa vi suscita questa parola, cosa ne pensate...?
Educare per me non entra solo in una relazione educativa con l' utente, io e lui (questo sarà il mio futuro lavorativo) è anche il presente ora.. l' educare dov' è ..? Dovè finito al giorno d' oggi... a mio parere c'è carenza di questo termine.. nella parola e nell' uso pratico basta guardarsi un pò intorno aprire un' attimo di più gli occhi e non restare seduti solo sulla propria sedia. E allora c'è bisogno di educazione ovunque.. non bastano i libri....perchè scarseggia e allora...S.O.S EDUCARE!!